lunedì 28 aprile 2008

Il peso delle conseguenze – terza parte

Azioni a specchio, deformate a seconda del colore della maglia e della notorietà del personaggio. Ieri sono andate in onda sui vari campi di gioco le solite scene. Gli stessi insulti a due arbitri diversi producono provvedimenti di diversa gradazione: Di Vaio giustamente espulso, Del Piero vistosamente graziato dopo l’ammonizione (sullo sfondo si notano Siviglia che ride divertito e in seguito De Silvestri che sembra dire al direttore di gara: “che fai, da lui l'insulto te lo prendi?”). Episodi per nulla differenti da quello di Totti e poi di Dabo, di cui abbiamo già parlato. “Siamo alle solite, Calimero!” recitava uno spot pubblicitario di tanti, tanti anni fa. Calimero in questo caso è la Lazio, una squadra da denunciare a “Chi l’ha visto”, che neppure gli arbitri sul campo rispettano. A Torino non sono stati concessi ai biancocelesti ben 3 rigori: uno su Siviglia vistosamente scaraventato a terra in area mentre stava per colpire di testa, il secondo sul mani in area di Sissoko, il terzo su Mauri (il più dubbio per la verità) che non cade in area a contatto (c’è stato?) con Buffon. Non protesta il trequartista laziale, ma per la verità nessun calciatore biancoceleste sembra in grado di chiedere rispetto. Una squadra con livelli di autostima sotto i tacchi, evidentemente. E il 5-2 rimediato dalla Juventus non ha scusanti: in 30 minuti i bianconeri hanno ridicolizzato centrocampo e difesa biancocelesti. Se nella ripresa la Lazio riesce ad andare in gol 2 volte lo deve all’intraprendenza di Mauri e Bianchi ma soprattutto alla verve di Vignaroli - uno dei pochissimi calciatori degno di indossare la gloriosa maglia della Lazio - che svaria a tutto campo e scodella un assist perfetto per la testa di Siviglia. E dire che Fabio aveva smesso di giocare a calcio. Eppure è uno che i fondamentali li conosce eccome, forse meglio di altri suoi più acclamati colleghi.
La palma della domenica va però come sempre a Celi di Campobasso, che all’Olimpico di Roma si dimentica di aver ammonito Dallafiore, e alla seconda ammonizione lo lascia in campo: poi dirà di non averlo ammonito la prima volta, in occasione del rigore che apre il valzer di reti giallorosse, ma le immagini lo smentiscono, e ci mancherebbe. Ma se Celi riconoscesse l’errore si dovrebbe far ripetere Roma-Torino.
Tantrik

domenica 20 aprile 2008

Il peso delle conseguenze, seconda parte

Detto, fatto. Il comportamento dell'arbitro Rizzoli ha già generato le sue conseguenze. Va bene, è stato un festival delle espulsioni: Cagliari, Parma, Napoli e Lazio ne hanno fatto le spese più vistose. Tutti casi diversi, beninteso. Ma quello che si presta a un immediato confronto con l'episodio di Totti della scorsa giornata è proprio quello di Dabo in Catania-Lazio. Dabo accenna appena una protesta dopo l'ammonizione (generosa) e viene immediatamente espulso nonostante i biancocelesti siano già in 10 per il precedente rosso a Zauri. Sia chiaro, nel mio primo intervento ho invocato il rispetto delle regole, ma anche la loro uniforme applicazione. Il gesto di Dabo è appena accennato, quello di Totti la scorsa domenica plateale e reiterato. Solo che l'arbitro Celi ha applicato alla lettera, e con grande sollecitudine, il regolamento. Come a dire: da oggi si cambia musica! Ma la musica, cari arbitri, doveva essere cambiata da quel dì... Ne han fatto le spese la Lazio e il buon Dabo, che certo non hanno la visibilità e l'autorità mediatica dei cugini giallorossi.
Tantrik

lunedì 14 aprile 2008

Il peso delle conseguenze

Se ne sentono delle belle, ultimamente. Anzi delle brutte, direi pessime. Sono le chiacchiere e le invenzioni che stridono come le unghie sugli specchi dei soliti soloni in doppiopetto che intendono giustificare a tutti i costi il comportamento errato dell’arbitro Rizzoli durante Udinese-Roma. Ha voglia di strillare il buon Pietro Leonardi da quel di Udine, sembra che non ce ne sia né per lui né per Pasquale Marino. E c’è veramente di che essere preoccupati per la disparità di trattamento e di applicazione delle regole.
Il fatto ormai è noto: Totti spara in cielo un pallone davanti alla porta e incolpa l’arbitro Rizzoli di averlo ostacolato. Più che incolparlo, a dire il vero, lo manda platealmente e ripetutamente (ben 3 volte) a… quel paese, tanto per non ripetere l’icastico insulto italico e tipicamente romanesco. Al che Rizzoli, sbagliando su tutta la linea, gli mostra il cartellino giallo. Totti andava espulso. O ignorato. Il giallo è un errore plateale con conseguenze davvero imbarazzanti.
Non voglio occuparmi del comportamento di Totti: primo perché non mi interessa, secondo perché non è nuovo a intemperanze del genere e sembra che non abbia ancora imparato la lezione. Si dirà: ma è il capitano della Roma, non dovrebbe comportarsi così… Si dirà che tanti altri dicono e fanno lo stesso in campo… e altre banalità del genere. La ripetizione di un comportamento sbagliato non lo fa diventare improvvisamente giusto. Semmai, di tutta la vicenda, mi colpisce l’aspetto pedagogico negativo: Totti è un personaggio con una grande influenza sui tifosi, anche e soprattutto su quelli più giovani. Non ha dato certo un bell’esempio, non c’è dubbio. Il resto va da sé.
In realtà voglio occuparmi delle conseguenze generate dalla bizzarra decisione dell’arbitro Rizzoli, che sono molteplici. Ma, come spesso amo fare, più che altro mi limiterò a porre delle domande, affinché chi legge possa rispondersi come meglio crede.
1. Al momento del fattaccio, inquadrato con eloquenza dalle tv, la Roma era in svantaggio di un gol. Cosa sarebbe accaduto se Rizzoli, applicando il regolamento, avesse espulso Totti? Tra le conseguenze, ovviamente, oltre al risultato della partita in corso, bisogna mettere in preventivo la possibile squalifica di tre giornate a Totti, come di solito accade quando un calciatore insulta un arbitro. Ricordo, tanto per restare nella Capitale, le tre giornate a Stendardo nella partita contro il Napoli e quelle a Mutarelli (che mandò a quel paese l’arbitro di spalle, ma fu intercettato dal quarto uomo) nella partita contro la Fiorentina. Che ne sarebbe stata della famigerata lotta per lo scudetto?
2. Come si comporterà l’arbitro Rizzoli d’ora in poi quando qualche altro calciatore lo manderà a quel paese?
3. Cosa sarebbe accaduto a qualsiasi altro calciatore che avesse ripetutamente insultato l’arbitro che non fosse stato il capitano della Roma, in lotta per lo scudetto?
Sembrano domande banali, e forse lo sono. Tuttavia questi interrogativi aprono delle prospettive imbarazzanti. Di certo resta il fatto che Rizzoli ha sbagliato su tutta la linea.
Ancor più gravi, però, sono le giustificazioni dei soloni in doppiopetto. Se ne sono sentite di tutti i colori: perfino che Rizzoli ha fatto bene a non espellere Totti per “un confidenziale atto di nervosismo” perché si è preoccupato di salvaguardare la validità del campionato. Oppure, peggio, che Totti ha ragione, perché Rizzoli non deve trovarsi al centro dell’area su un cross dal fondo. Ricordiamo ai distratti che alcune squadre hanno perso partite e trofei perché la palla è rimbalzata sull’arbitro ed è finita in rete, con gol completamente valido, come da regolamento.
Ci vuole un gran coraggio per giustificare comportamenti del genere. L’unica voce nel deserto sembra essere stata quella di Mario Sconcerti che nel dopo partita su Sky ha voluto dissociarsi dai compiacenti discorsi in atto chiarendo che gli sembrava perlomeno curioso che si stesse facendo un monumento a un calciatore che si era comportato male. Tuttavia il monumento è stato fatto e perfino lustrato, almeno a leggere i principali quotidiani sportivi e non del giorno dopo.
È un giornalismo triste e fazioso, purtroppo. Sostenuto anche da un anti-interismo ormai diffuso, figlio di calciopoli.
Già, calciopoli. Forse in pochi scorgono il collegamento tra calciopoli e l’eliminazione delle squadre italiane dalla Champions League. In realtà sono convinto che il campionato stia subendo proprio quest’anno i contraccolpi di calciopoli. Ma non correte subito alle opposte conclusioni: non sto riabilitando il malaffare. Sto semplicemente ripetendo quel che sostengo da tempo: che calciopoli sia stata una grande occasione mancata per fare pulizia e riorganizzare il calcio italiano sulla base di un sano rispetto delle regole. Invece si è avuta tanta fretta, e la fretta non è mai foriera di decisioni equilibrate. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un campionato disastroso, evidenziato da una catastrofe nel rispetto del regolamento, domenica dopo domenica, con una classe arbitrale perlopiù insufficiente e goffa.
Si dice spesso con rassegnazione che solo in Italia possono succedere cose del genere. Purtroppo, almeno rimanendo in ambito europeo, è vero. Ma non credo nei complotti, credo nella mancanza di cultura. In Italia la cultura sportiva è un miraggio. Basta assistere a una qualsiasi partita del campionato inglese per rendersene conto: la decisione dell’arbitro non viene mai contestata in campo dai calciatori, e ricordo il recente Liverpool-Arsenal di Champions League. Rigore dubbio, ma accettato in pieno, senza settimane di moviole e chiacchiere. E la mancanza di cultura genera sempre mostri, credetemi. Il nostro campionato ha perso di credibilità. Dubito che grandi campioni internazionali siano invogliati a venire in Italia, quando altrove il calcio è quel che deve essere: sport, spettacolo, competizione, ma soprattutto divertimento. Qui da noi sembra che sia diventato solo veleno.
Dimenticavo: a Totti solo mille euro di multa, come da regolamento, per le civili proteste nei confronti dell'arbitro.
Tantrik

domenica 6 aprile 2008

E se fossimo indotti a pensar male...

Nel precedente intervento ponevamo in risalto la responsabilità di comunicatori e giornalisti in doppiopetto nell'aver male indirizzato l'opinione del tifoso, promuovendo la cultura del sospetto, per di più preventivo. Così per una settimana si è discusso inutilmente della moralità della Lazio, con argomenti del tutto fuori luogo e con toni perfino offensivi. Pensavamo che dopo la caparbia prova dei biancocelesti contro l'Inter tali pettegolezzi (perché ci risulta difficile definirli altrimenti) fossero terminati: macché, i sospetti e le sciocchezze sono continuati, con l'accusa che la Lazio avesse affrontato la partita contro l'Inter come se si trattasse di un'amichevole. Beati loro che hanno il coraggio di non vedere ciò che è evidente: se i due splendidi legni di Kolarov e la traversa di Dabo significano un'amichevole...
Siamo rimasti in attesa, durante questa settimana, monitorando il panorama mediatico locale e nazionale: la Lazio è tornata nella sua nicchia, niente di straordinario. Del resto, non va dimenticato, la stagione biancoceleste non è certo da urlo e i pochi acuti si sono registrati solo in occasioni importanti: il Real Madrid e il Werder Brema in casa (Champions League), la Roma e l’Inter nel girone di ritorno, il buon cammino in Coppa Italia. Un po’ poco per definire un campionato, tanto più all’indomani di un terzo posto. Società, staff tecnico e squadra devono riflettere con onestà su questa stagione gettata alle ortiche, pur tenendo in conto le situazioni di grande difficoltà indotte da imprevedibili infortuni traumatici (Diakité, Cribari, Siviglia, Zauri, solo per ricordarne alcuni), la vicenda Carrizo e l’incomprensibile povertà del mercato estivo.
Ma se ora, alla luce della giornata di campionato appena trascorsa, fossimo anche noi indotti a pensar male? Non lo faremo, perché siamo consapevoli che è sempre sbagliato. Tuttavia, i soliti comunicatori della domenica sera più di un dubbio continuano a suscitarlo. Il problema, di un provincialismo sconcertante, è tutto della Capitale: perché soltanto qui a Roma si giustificano le sconfitte con le teorie dei complotti e si glorificano le vittorie anche quando arrivano per motivi diversi dal valore dimostrato in campo. Dunque, in questo clima così provinciale, lasciateci porre alcuni interrogativi:
1. Cosa si sarebbe insinuato per intere settimane se, ad esempio, sull’1-1 di Lazio-Inter, Rocchi si fosse esibito in una insensata e sciagurata scivolata in area sui piedi di Crespo così come ha fatto Borriello con Taddei in Roma-Genoa?
2. Come mai nessuno si è chiesto perché Gasperini abbia lasciato in panchina proprio uno come Leon? Eppure qualcuno si era chiesto come mai lo stesso allenatore avesse lasciato fuori Borriello contro l’Inter. Sicuramente per favorire i nerazzurri, no?
3. Perché sentiamo dire che l’Atalanta ha giocato al di sotto delle proprie possibilità e che il gol di Vieira è da annullare quando mancano ben due rigori evidenti all’Inter, di cui uno proprio sul gigante di colore? È complotto, non c’è dubbio...
In realtà questi interrogativi sono solo provocazioni da parte nostra... che speriamo facciano riflettere chi ha una mente critica soltanto a senso unico.
Se nella Capitale si vince così poco è anche per il provincialismo dei suoi comunicatori. Sarebbe molto meglio, in questo finale di campionato, lasciare da parte fantasiose ipotesi di complotto e pensare che una squadra vince se ha i mezzi tecnici e morali (come il crederci sempre fino in fondo) e quel pizzico di buona sorte che accompagna sempre gli audaci. Il resto sono solo chiacchiere, velenose.
Alessandro Staiti