lunedì 12 novembre 2007

La morte assurda di un ventottenne.

Muore sul sedile posteriore di una Scenic, mentre si recava con gli amici a Milano per assistere alla partita della sua squadra del cuore, la Lazio. Colpito da un proiettile sparato da un agente della polizia stradale. Accidentalmente, sembra, anche se è davvero inverosimile. Le indagini sono ancora in corso e mentre scriviamo apprendiamo che l'agente sarà indagato per omicidio colposo, ma al di là del doveroso accertamento delle responsabilità e delle dinamiche dell'accaduto, resta il fatto che Gabriele Sandri è stato sottratto all'affetto dei propri cari e dei tanti amici. Due famiglie distrutte: quella di Gabriele e quella dell'agente, commettendo un errore imperdonabile, lo ha ucciso.
Ragazzo allegro e gentile, Gabriele aveva una grande passione, la musica, che lo aveva portato a diventare apprezzato dj nelle più note discoteche nella Capitale e in Sardegna. La notte precedente aveva terminato il lavoro al Piper alle 4 del mattino e alle 6 si era messo in viaggio assieme ai suoi amici per Milano. Poi l'assurdo susseguirsi degli eventi: la lite con un'altra vettura occupata da tifosi juventini (di cui non si sa nulla al momento), la ripartenza alla volta di San Siro e poi il proiettile che buca il finestrino e gli recide la carotide, presumibilmente mentre stava dormendo. Poi la follia del mondo esterno. Mentre il Presidente della S.S. Lazio, Claudio Lotito, chiede immediatamente di non giocare la partita per rispetto alla scomparsa del tifoso, il resto del campionato va avanti. Ma dopo pochi minuti viene sospesa anche Atalanta - Milan per i tumulti e le richieste degli ultras bergamaschi. Rimangono negli occhi le inquadrature dei bambini allo stadio, increduli e tristi per non poter vedere la propria squadra del cuore continuare la partita. Rimangono negli occhi le inquadrature dei teppisti incappucciati che sfondano un vetro antisfondamento. Incidenti, nella notte, a Roma. Il posticipo tra Roma e Cagliari viene rinviato. La curva sud aveva già annunciato che, comunque, non sarebbe entrata all'Olimpico. Ma i teppisti non si fermano: prendono spunto da un episodio che con il calcio c'entra soltanto per circostanze accidentali per scatenare la guerriglia intorno allo Stadio Olimpico e assaltare le caserme delle forze dell'ordine nella zona circostante. Ferro e fuoco, altri feriti, distruzione e sprangate. Il quartiere Flaminio sotto assedio. Non è un bel modo per onorare la memoria di Gabriele Sandri, che non sarebbe stato certo contento di tanta violenza. Perché a Gabriele piaceva la musica, lo star bene insieme alla gente.
Addentrarsi in analisi politiche e sociologiche non riporta in vita Gabriele, e onestamente è davvero difficile comprendere una società che si avvia sempre più verso episodi di violenza efferata. I tempi sono mutati, la mentalità dei governi, delle istituzioni non è pronta a comprendere l'evoluzione (se fossimo moralisti diremmo, ma lo diciamo pur non essendolo, involuzione) di una comunità di persone che adopera la violenza e la distruzione per protestare chissà contro cosa. Il calcio avrebbe dovuto fermarsi. Grave errore non aver bloccato tutte le partite. Anche se il calcio, lo ripetiamo, è quasi uno sciagurato pretesto - proprio per la dinamica degli accaduti - per sfogare odio e violenza inaudite. Caserme assaltate, non era accaduto neanche negli anni di piombo. Questo è terrorismo. Una deriva pericolosissima per la nostra civiltà, per la nostra società.
Chi scrive, e parla soltanto ed esclusivamente a titolo personale, non crede più nelle soluzioni politiche. Le ideologie non hanno salvato il mondo, né lo hanno fatto le religioni. Possiamo diventare esseri umani soltanto se decidiamo di sapere cosa significa essere un essere umano. Conosci te stesso, diceva il saggio. Una voce che grida nel deserto. Giustizia dovrà essere fatta.
Riposa in pace Gabriele. Siamo vicino alla tua famiglia e a tutti i tuoi amici.
Alessandro Staiti

2 commenti:

ali lapointe ha detto...

È molto difficile scrivere qualcosa di sensato dopo una giornata come quella di ieri. Da un lato ci sono le responsabilità personali (e penali) dell'agente che ha sparato e dei teppisti che hanno fatto tutto il resto. Dall'altro c'è l'ansia di risposta alle domande: come si è arrivati a questa situazione? E soprattutto, cosa si può fare perché non avvengano più fatti come quelli di ieri? Perché mi sembra chiaro che non è sufficiente reprimere e punire, come si è cercato di fare (con scarso zelo, peraltro...) fino ad oggi. Non volendo credere ad un virus di pazzia generale che ci ha contagiato tutti, il problema, a mio avviso, è culturale ed educativo. Ovvero di scarsa cultura (non solo sportiva) e scarsa educazione (anche sportiva). Temo che un rimedio a breve termine non esista, ma, vivendo in una società, la soluzione DEVE essere politica, cioè istituzionale, generalizzata, non posso accontentarmi di aspettare che un poliziotto un po' esaltato e sotto pressione o una manica di delinquenti trovino dentro di loro il karma, o la coscienza, o una vocina che dice "conosci te stesso". E intanto i ragazzi come Gabriele muoiono e teppisti scatenati fanno centinaia di milioni di danni. Basta.

nonnomazac ha detto...

Non voglio accodarmi alla marea di commenti di questo momento.
Per assurdo, nel contesto, non mi interessa come è morto il povero Gabriele. Mi domando semplicemente: e se fosse morto, casualmente, durante una rapina?
Massimo rispetto, quindi, per il povero Gabriele. La sua morte, come tutte le morti violente, è talmente assurda che non si riesce a farsene una ragione. E stringiamoci, come ognuno riesce a fare, intorno alla famiglia e agli amici di Gabriele.
Ora, associare questa morte al più generale mondo del calcio è altrettanto assurdo.
Vi sono, a mio avviso, due verità:
la prima è sociale; non esistono più valori ideali tali da sostenere, oltre la ludicità di un momento quale può essere quello del tifo, la vita di pensiero dell'essere umano (almeno in Italia). La seconda è quella che intorno al calcio coesistano fenomeni che tendono ad utilizzare il calcio oltre lo sport stesso.
Mi spiego: la tragedia di ieri era una morte attesa. Serviva un martire per scatenare una reazione che generasse confusione e ulteriore restrizione delle libertà. Un vero attacco, sperato, alla democrazia di questo paese.
Non nascondiamoci dietro un dito. Sotto il tifo organizzato covano fenomeni eversivi che tendono a sfruttare ogni situazione. Dopo la morte dell'Agente Raciti questa atttesa, questa rivincita sullo stato e contro lo stato era attesa. Altrimenti non ci sarebbero stati i fenomeni di Bergamo, di Taranto e soprattutto di ieri sera a Roma con un attacco aramato ad un commissariato.
Solo se prendiamo coscienza di questo potremo generare le risposte. Io dico che non servono altre Leggi: abbiamo Leggi, se apllicate, in grado di controllare la violenza. Ma noi non parliamo di violenza da tifo; noi parliamo di eversione. E allora il problema non è culturale e non è educativo.
Il problema è squisitamente politico. Dobbiamo ridare dignità alle idee.
Invoco la repressione, quella forte, contro chi fomenta la reazione, ma invoco anche rispetto per il 99% di tifosi che amano il calcio.
Propongo una terza via da associare alla repressione e alla prevenzione: quella della responsabilizzazione.
Facciamo in modo che le associazioni dei tifosi siano dotate di personalità giuridica con statuti ben delieati e siano, oggettivamente e anche in forma patrimoniale, responsabili dei danni arrecati alla società.
Quanto solo per iniziare.....

Marco